Ricorso  per  la  regione  Veneto  (C.F.  80007580279   -   P.IVA
02392630279), in persona del Presidente della Giunta regionale  dott.
Luca Zaia (C.F. ZAILCU68C27C957O),  autorizzato  con  delibera  della
Giunta regionale n. 152 del 10 febbraio 2015, rappresentata e difesa,
come da procura speciale a margine del presente  atto,  dagli  avv.ti
prof. Mario Bertolissi del Foro di  Padova  (C.F.  BRTMRA48T28L483I),
Ezio   Zanon    coordinatore    dell'Avvocatura    regionale    (C.F.
ZNNZEI57L07B563K)  e   Luigi   Manzi   del   Foro   di   Roma   (C.F.
MNZLGU34E15H501V), presso quest'ultimo domiciliata in Roma, alla  via
Federico  Confalonieri,  n.  5  (fax  06/3211370,  posta  elettronica
certificata luigimanzi@ordineavvocatiroma.org); 
    Contro il Presidente del  Consiglio  dei  ministri  pro  tempore,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello  Stato,  presso
la quale e' domiciliato ex lege in Roma, alla via dei  Portoghesi  n.
12; 
    Per la declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 1,
commi 418, 419, 451 e commi da 421 a  428  della  legge  23  dicembre
2014, n. 190,  recante  «Disposizioni  per  formazione  del  bilancio
annuale  e  pluriennale  dello  Stato  (legge  di  stabilita'  2015)»
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 29 dicembre 2014, n.  300,  S.O.,
per violazione degli artt. 3, 35, 97, 114, 117, commi terzo e quarto,
118, 119 commi primo, secondo e quarto, 120 della Costituzione  della
Repubblica italiana. 
 
                              F a t t o 
 
    In data 29 dicembre 2014  e'  stata  pubblicata,  nella  Gazzetta
ufficiale n.  300,  la  legge  23  dicembre  2014,  n.  190,  recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato (legge di stabilita' 2015)». 
    La predetta legge contiene diverse disposizioni  che  influiscono
gravemente sul processo di riforma dell'ordinamento degli enti locali
tracciato dalla legge 7  aprile  2014,  n.  56  («Disposizioni  sulle
citta' metropolitane, sulle  province,  sulle  unioni  e  fusioni  di
comuni»), risolvendosi in molteplici e  decisivi  pregiudizi  per  le
attribuzioni costituzionali degli enti di area  vasta  veneti,  oltre
che  per  l'autonomia  amministrativa  e  legislativa  della  regione
Veneto. 
    Due sono, in particolare,  i  complessi  normativi  che  meritano
censura in questa sede. 
    1. Il primo, costituito dai commi 418,  419  e  451  dell'art.  1
della legge n. 190/2014, incide in modo significativo  sulle  risorse
proprie  di  province  e  citta'  metropolitane,   minacciandone   la
solvibilita' e l'effettiva possibilita' di continuare a  svolgere  le
funzioni amministrative di loro competenza. 
    L'art. 1, comma 418 stabilisce, in particolare, che «Le  province
e le citta' metropolitane  concorrono  al  contenimento  della  spesa
pubblica attraverso una  riduzione  della  spesa  corrente  di  1.000
milioni di euro per l'anno 2015, di 2.000 milioni di euro per  l'anno
2016 e di 3.000 milioni di euro a decorrere  dall'anno  2017».  (...)
Ciascuna provincia e citta' metropolitana versa ad apposito  capitolo
di entrata del bilancio dello Stato un ammontare di risorse  pari  ai
predetti risparmi di spesa. Vi  si  prevede,  poi,  che  «l'ammontare
della riduzione della spesa corrente che ciascun ente deve conseguire
e del corrispondente versamento» alle casse dello Stato debba  essere
determinato «con decreto di natura non  regolamentare  del  Ministero
dell'interno, di concerto con  il  Ministero  dell'economia  e  delle
finanze». 
    Il successivo comma 419 appresta un regime  di  recupero  forzoso
del contributo obbligatorio di cui al precedente comma. «In  caso  di
mancato versamento del contributo di cui al comma 418,  entro  il  30
aprile di ciascun anno (...), l'Agenzia delle entrate (...)  provvede
al recupero delle predette somme nei confronti delle province e delle
citta'   metropolitane   interessate,   a   valere   sui   versamenti
dell'imposta sulle assicurazioni  contro  la  responsabilita'  civile
derivante  dalla  circolazione  dei  veicoli  a  motore,  esclusi   i
ciclomotori (...).  In  caso  di  incapienza  (...)  il  recupero  e'
effettuato  a  valere  sui  versamenti  dell'imposta  provinciale  di
trascrizione». 
    L'art. 1, comma 451 della legge n. 190/2014 aggrava ulteriormente
il regime di contribuzione forzosa delineato  dai  commi  418  e  419
prorogando anche per l'anno 2018 analogo contributo coattivo posto  a
carico di province e citta' metropolitane dall'art. 47  del  d.l.  24
aprile 2014, n. 66 (pari a «576,7 milioni di euro per l'anno  2015  e
585,7 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016, 2017 e 2018»). 
    2. Il secondo complesso  normativo  e'  rappresentato  dai  commi
421-428 della legge n. 190/2014, con cui il  legislatore  statale  ha
ritenuto di disporre d'autorita' un vero e proprio taglio lineare del
personale in servizio presso citta' metropolitane e  province,  dagli
effetti immediati e prorompenti  sotto  il  profilo  organizzativo  e
funzionale. 
    In base all'art. 1,  comma  421  della  legge  n.  190/2014,  «La
dotazione organica delle citta' metropolitane e delle province  delle
regioni a statuto ordinario e' stabilita, a decorrere dalla  data  di
entrata in vigore della presente legge, in misura pari alla spesa del
personale di ruolo alla data di  entrata  in  vigore  della  legge  7
aprile 2014, n.  56,  ridotta  rispettivamente,  tenuto  conto  delle
funzioni attribuite ai predetti enti dalla medesima  legge  7  aprile
2014, n. 56, in misura pari al 30 e al 50 per cento e in misura  pari
al 30 per cento per le province, con territorio interamente montano e
confinanti con paesi stranieri». Salva restando, per gli enti di area
vasta, la possibilita' di deliberare una riduzione superiore. 
    I successivi commi da 422  a  428  dell'art.  1  della  legge  n.
190/2014, in attuazione  del  comma  421,  contengono  la  disciplina
applicabile  al  ricollocamento  del   personale   in   soprannumero,
stabilendo nel dettaglio scansioni temporali e regole applicabili  al
personale in mobilita'. 
    Il comma 422, in specie, stabilisce che il personale  che  rimane
assegnato agli  enti  di  area  vasta  e  quello  da  destinare  alle
procedure di mobilita' deve essere individuato entro  novanta  giorni
dalla data di entrata in vigore della legge n. 190/2014. 
    Il comma 423 affida a societa' in house  statali  il  compito  di
collaborare   alla   predisposizione   di   «piani    di    riassetto
organizzativo, economico, finanziario e patrimoniale  degli  enti  di
cui al comma 421». 
    In base al comma 424, regioni ed enti locali per gli anni 2015  e
2016 «destinano le risorse per le assunzioni  a  tempo  indeterminato
(...) all'immissione nei ruoli dei  vincitori  di  concorso  pubblico
collocati nelle proprie graduatorie vigenti o approvate alla data  di
entrata in vigore della presente  legge  e  alla  ricollocazione  nei
propri ruoli delle unita' soprannumerarie destinatarie  dei  processi
di mobilita'». 
    Il comma 425 disciplina la ricollocazione di parte del  personale
in  mobilita'  «presso  le  amministrazioni  dello  Stato,  anche  ad
ordinamento autonomo, le agenzie, le universita' e gli enti  pubblici
non economici», disponendo  che  tale  ricollocazione  deve  avvenire
prioritariamente «presso gli uffici giudiziari». 
    Il comma 426 proroga al 31 dicembre 2018 la disciplina  volta  al
superamento del precariato di cui all'art. 4, commi 6, 8 e 9 del d.l.
31 agosto 2013, n. 101 (convertito in legge dalla  legge  30  ottobre
2013, n. 125). 
    Il legislatore ha poi stabilito (comma 427) che «nelle more della
conclusione delle procedure di mobilita' di cui ai  commi  da  421  a
428, il relativo  personale  rimane  in  servizio  presso  le  citta'
metropolitane e le province con possibilita' di avvalimento da  parte
delle regioni e degli enti locali attraverso apposite convenzioni che
tengano conto del riordino  delle  funzioni  e  con  oneri  a  carico
dell'ente utilizzatore». 
    Infine (comma 428), qualora al 31  dicembre  2016  «il  personale
interessato ai processi di mobilita' di cui ai commi da 421 a 425 non
sia completamente  ricollocato»,  spetta  agli  enti  di  area  vasta
«definire criteri e tempi di utilizzo di forme contrattuali  a  tempo
parziale del  personale  non  dirigenziale  con  maggiore  anzianita'
contributiva. (...) In caso  di  mancato  completo  assorbimento  del
personale in soprannumero e a conclusione del processo  di  mobilita'
tra gli enti  di  cui  ai  commi  da  421  a  425,  si  applicano  le
disposizioni dell'articolo 33, commi 7 e 8, del  decreto  legislativo
30 marzo 2001, n. 165». 
    Avverso le disposizioni della legge n. 190/2014 sin qui ricordate
la regione Veneto propone ricorso ai sensi  dell'art.  127  Cost.,  a
tutela della sua autonomia legislativa, amministrativa e finanziaria,
nonche' delle attribuzioni costituzionali degli enti  di  area  vasta
veneti (come ammesso dalla giurisprudenza costituzionale consolidata;
in tal senso, ad esempio: Corte cost., 19 luglio 2013, n. 220,  punto
5.1 del considerato in diritto; Corte cost.,  20  dicembre  2012,  n.
311, punto 3.2 del considerato in diritto; Corte cost.,  20  novembre
2009, n. 298, punto 7.2 del considerato in diritto),  chiedendone  la
declaratoria d'illegittimita' costituzionale per i seguenti motivi di 
 
                            D i r i t t o 
 
A. Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 418,  419  e  451
dell'art. 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190. 
A.1. Violazione dell'art. 119 Cost., commi primo, secondo e quarto. 
    Cio' che l'art. 1, comma 418 della legge  n.  190/2014  definisce
«riduzione della spesa corrente di 1.000 milioni di euro  per  l'anno
2015, di 2.000 milioni di euro per l'anno 2016 e di 3.000 milioni  di
euro a decorrere dall'anno 2017», che province e citta' metropolitane
hanno l'obbligo  di  conseguire,  e'  in  realta',  all'evidenza,  un
contributo economico forzoso che gli enti di area vasta sono tenuti a
versare  alle  casse  dello  Stato.  Del  tutto  analoghe   sono   le
caratteristiche (e la ratio) del contributo disciplinato dall'art. 47
del d.l. n. 66/2014, prorogato fino al 2018 dall'art. 1,  comma  451,
della legge n. 190/2014. 
    In sostanza, l'obiettivo del «contenimento della spesa  pubblica»
di cui ragiona il comma 418 non viene perseguito tramite processi  di
ottimizzazione nella gestione delle risorse statali  (o  locali),  ma
attraverso lo spostamento coattivo  di  risorse  dalla  periferia  al
centro: la leva fiscale e le conseguenti risorse proprie di  province
e  citta'  metropolitane  dovranno  essere  utilizzate  (ed  in  modo
consistente) non per finanziare le funzioni di  area  vasta,  ma  per
contribuire al risanamento del bilancio statale. 
    Si tratta di un  meccanismo  che  sovverte  ab  imis  i  principi
costituzionali precipitati nell'art. 119 Cost., a partire  da  quello
di autonomia finanziaria. Non v'e' dubbio, infatti, che  l'«autonomia
finanziaria di entrata e di spesa» (art. 119, comma primo Cost.),  le
«risorse autonome» ed i «tributi ed entrate propri» (art. 119,  comma
quarto Cost.) di cui possono - e devono - giovarsi province e  citta'
metropolitane, hanno a che vedere con la loro  capacita'  di  gestire
responsabilmente le  risorse  economiche  di  cui  dispongono,  senza
vincolo di subordinazione rispetto ad alcun  altro  ente  costitutivo
della Repubblica. 
    Capacita' che, pero', viene sostanzialmente meno quando si impone
loro di destinare una  parte  cosi'  rilevante  di  tali  risorse  al
finanziamento delle funzioni altrui  (dello  Stato,  in  specie),  in
luogo delle proprie. 
    La lesione dell'autonomia di entrata e di spesa delle province  e
delle citta' metropolitane diviene chiara, del  resto,  proprio  alle
luce delle modalita' di riscossione coattiva del  contributo  forzoso
delineate dal comma 419, che incide sulle piu' significative forme di
finanziamento  delle  funzioni  di  area   vasta:   l'imposta   sulle
assicurazioni  contro  la  responsabilita'  civile  derivante   dalla
circolazione dei veicoli a motore, la cui aliquota puo' essere  dalle
province innalzata dal 12,5 al 16% (ai sensi dell'art. 17,  comma  2,
del  d.lgs.  6  maggio  2011,  n.  68);  l'imposta   provinciale   di
trascrizione, sulle cui tariffe  le  province  hanno  un  margine  di
manovra del 30% (in base all'art. 56, comma 2, del d.lgs. 15 dicembre
1997, n. 446). 
    Il legislatore statale ha, addirittura, dato per scontato che  il
prelievo forzoso imposto  dall'art.  1,  comma  418  della  legge  n.
190/2014 possa esaurire l'intero gettito derivante dall'imposta sulle
assicurazioni  contro  la  responsabilita'  civile  derivante   dalla
circolazione dei veicoli a motore (che  rappresenta,  da  solo,  piu'
della meta' delle entrate tributarie di cui dispongono le province  -
doc. 1 -).  Tant'e'  che  il  comma  419  dispone  che  «in  caso  di
incapienza» dei versamenti relativi a quest'ultima,  l'Agenzia  delle
entrate effettua  il  recupero  delle  somme  dovute  «a  valere  sui
versamenti dell'imposta provinciale di trascrizione». 
    Con cio', a ben vedere, viene persino meno la natura  di  tributi
propri  derivati  delle  due  principali  imposte  provinciali,   che
presupporrebbe l'effettivo mantenimento in capo alle province ed alle
citta' metropolitane del relativo gettito. Lo  Stato  potra',  cosi',
giovarsi delle risorse raccolte da province  e  citta'  metropolitane
senza assumere  in  alcun  modo  la  responsabilita'  politica  delle
corrispondenti decisioni  impositive.  Anche  sotto  questo  profilo,
appare evidente la violazione  dei  principi  di  autonomia  -  e  di
responsabilita' - finanziaria di cui all'art. 119 Cost. 
    Al riguardo, giova ricordare come questa Corte  abbia  dichiarato
l'illegittimita' costituzionale, per violazione dell'art. 119  Cost.,
commi primo e quarto, delle norme  che  «impongono  alle  regioni  di
deliberare gli aumenti fiscali (...) in presenza  di  un  persistente
accentramento statale del  servizio»  finanziato  con  tali  risorse.
Norme di tal fatta ledono non  solo  «l'autonomia  di  entrata  delle
stesse», ma anche «l'autonomia di spesa, poiche' obbligano le regioni
ad utilizzare le proprie entrate a favore di organismi statali (...),
per l'esercizio di compiti  istituzionali  di  questi  ultimi.  (...)
Risulta violato altresi' il quarto comma dell'art. 119  Cost.,  sotto
il profilo del legame necessario tra le entrate delle  regioni  e  le
finzioni delle stesse, poiche' lo Stato, pur trattenendo per  se'  le
funzioni (...), ne accolla i costi alle regioni stesse» (cosi'  Corte
cost., 16 febbraio 2012, n. 22, punti 5.2 e 5.3  del  considerato  in
diritto). 
    La misura del contributo forzoso imposto  dallo  Stato  e',  poi,
tale da rischiare  di  condurre  al  dissesto  anche  gli  enti  piu'
virtuosi, o comunque da pregiudicare in modo grave  il  finanziamento
integrale  delle  funzioni  fondamentali  delle  province  e   citta'
metropolitane, come confermate dall'art. 1, comma 85, della legge  n.
56/2014 (pianificazione territoriale  provinciale  di  coordinamento,
tutela e valorizzazione dell'ambiente, pianificazione dei servizi  di
trasporto  in  ambito  provinciale,  autorizzazione  e  controllo  in
materia di trasporto privato, costruzione  e  gestione  delle  strade
provinciali e regolazione della circolazione stradale; programmazione
provinciale della rete scolastica; raccolta ed elaborazione di  dati,
assistenza  tecnico-amministrativa   agli   enti   locali;   gestione
dell'edilizia scolastica; controllo dei  fenomeni  discriminatori  in
ambito  occupazionale  e  promozione  delle  pari  opportunita'   sul
territorio provinciale). 
    Il contributo forzoso imposto dalla legge di  stabilita'  per  il
2015 alle province venete causera', in particolare, un  disequilibrio
grave nei saldi di parte corrente relativi alla  spesa  per  funzioni
fondamentali, pari complessivamente a oltre 50 milioni  di  euro  nel
2015, e ad oltre 120 milioni di euro nel 2016 (doc. 2, pp.  2-4).  In
tutte  le  province  venete  il  saldo  di  parte  corrente  diverra'
negativo, con punte nel 2016 di circa 18 milioni di  euro  (provincia
di Padova - doc. 2, p. 6), 34 milioni di euro (provincia di Treviso -
doc. 2, p. 8), 22 milioni di euro (provincia di Venezia - doc. 2,  p.
9), 20 milioni di euro (provincia di Verona -  doc.  2,  p.  10),  28
milioni di euro (provincia di Vicenza - doc. 2, p. 11). 
    A pieno regime (dal 2017), la misura massima  del  contributo  (3
miliardi  di  euro)  avra'  -  ovviamente  -  effetti   ancora   piu'
dirompenti. 
    Da tutto  cio'  discende,  dunque,  anche  la  chiara  violazione
dell'art. 119 Cost., comma 4:  a  causa  dell'effetto  combinato  dei
contributi imposti dall'art. 1, comma 418 della legge n. 190/2014,  e
dall'art. 47 del d.l. n. 66/2014 (prorogato fino al 2018 dall'art. 1,
comma 451, della legge n. 190/2014), province e citta'  metropolitane
non riusciranno con le proprie risorse a «finanziare integralmente le
funzioni pubbliche loro attribuite». 
    La violazione dell'autonomia  finanziaria  delle  province  trova
conferma,  del  resto,  proprio  alla   luce   della   giurisprudenza
costituzionale consolidata in base alla quale il legislatore  statale
puo' imporre alle regioni e agli enti locali «vincoli alle  politiche
di bilancio,  anche  se  questi  si  traducono,  inevitabilmente,  in
limitazioni   indirette   all'autonomia   di   spesa    degli    enti
territoriali», a patto pero' che tali limiti  «siano  rispettosi  del
canone   generale    della    ragionevolezza    e    proporzionalita'
dell'intervento normativo rispetto all'obiettivo  prefissato»  (Corte
cost., 11 febbraio 2014,  n.  22,  punto  4.2.2  del  considerato  in
diritto; analogamente, tra le altre, Corte cost., 24 luglio 2013,  n.
236, punto 3.3 del considerato in diritto). 
    Non  puo'  certo  dirsi  ragionevole,   ne'   proporzionato,   un
contributo forzoso che avra' un impatto pregiudizievole decisivo - di
cui si e' detto - sul loro equilibrio di  bilancio,  e  sullo  stesso
svolgimento delle funzioni fondamentali provinciali. 
    Inoltre, questa corte ha piu' volte ricordato che i  limiti  alle
politiche di bilancio imposti  dallo  Stato  agli  enti  territoriali
possono essere ritenuti conformi a Costituzione solo  se  transitori:
«l'estensione a tempo indeterminato  delle  misure  restrittive»  e',
invece, illegittima (cosi' Corte cost., 19 luglio 2012, n. 193, punto
4.2 del considerato in diritto; nello stesso senso, di recente, Corte
cost., 13 marzo 2014, n. 44, punto 6 del considerato in diritto). 
    Non v'e' dubbio che la disciplina di cui all'art.  1,  comma  418
della legge n. 190/2014 e' ab origine concepita come non transitoria:
il contributo forzoso e' infatti stabilito in misura «ridotta» per il
2015 ed il 2016, ma operera' nella misura definitiva,  pari  a  3.000
milioni  di  euro,  «a  decorrere  dall'anno  2017»,  senza  che  sia
stabilito alcun limite temporale. 
    Anche sotto questi profili  in  contributo  forzoso  de  quo  e',
quindi, illegittimo per violazione dell'art. 119 Cost. 
A.2. Violazione degli artt. 3, 97 e 118 Cost. 
    Quanto poco sopra considerato in tema di  ricadute  concrete  del
contributo forzoso disciplinato dall'art. 1, commi 418  e  419  della
legge n. 190/2014 (e 451, nei limiti di cui si e' detto) consente  di
illustrare   ulteriori,   numerosi    profili    di    illegittimita'
costituzionale da cui sono affette le  disposizioni  della  legge  di
stabilita' per il 2015 in questa sede gravate. 
    L'intento   che   muove   il   legislatore    statale,    nemmeno
particolarmente celato, e' quello di comprimere in modo progressivo e
stringente le attribuzioni  delle  province,  in  attesa  della  loro
programmata soppressione, previa eliminazione di ogni riferimento  ad
esse dal testo della Costituzione ad opera di una legge di  revisione
costituzionale (analoghe considerazioni valgono per il taglio lineare
del personale provinciale disposto dall'art. 1, commi  421-428  della
legge n. 190/2014, sul quale si argomentera' amplius sub B.1). 
    Il legislatore sembra tuttavia dimenticare che le province,  fino
a quando godranno di diretta garanzia costituzionale in  quanto  enti
costitutivi  della  Repubblica,  sono  titolari   di   insopprimibili
funzioni fondamentali.  Funzioni  fondamentali,  del  resto,  che  il
legislatore statale  medesimo  ha  stabilito  debbano  continuare  ad
essere esercitate dalle province (in base al gia' ricordato  art.  1,
comma 85, della legge n. 56/2014). 
    Ora, non v'e' dubbio che in tanto le province possono  continuare
a  svolgere  le  funzioni  fondamentali  loro  spettanti  in   quanto
dispongano, in concreto, delle risorse necessarie a  finanziarle.  Il
che difficilmente avverra', se si tengono presenti i gravosi  effetti
economici del contributo forzoso di cui all'art. 1, commi 418, 419  e
451, gia' descritti. 
    La misura  del  contributo  imposto  e',  oltre  che  palesemente
irragionevole, anche contraddittoria rispetto al percorso di  riforma
degli enti locali tracciato dal legislatore nazionale con la legge n.
56/2014. Legislatore che con una  mano  conferma  la  titolarita'  di
funzioni fondamentali in capo a province e  citta'  metropolitane,  e
con l'altra le priva delle risorse necessarie a finanziarle. 
    I commi 418, 419 e 451 dell'art. 1 della legge n.  190/2014  sono
pertanto incostituzionali anche  per  violazione  dell'art.  3  Cost.
sotto il profilo  dell'irragionevolezza  e  della  contraddittorieta'
manifesta rispetto alla ratio che ispira l'art. 1,  commi  85  e  ss.
della legge n. 56/2014. L'intervento statale sulle risorse degli enti
di area vasta non e' conforme, dunque, ai canoni di ragionevolezza  e
proporzionalita' richiesti, in questo  ambito,  dalla  giurisprudenza
costituzionale (oltre alle gia' citate Corte cost., 11 febbraio 2014,
n. 22, punto 4.2.2 del considerato in  diritto,  e  Corte  cost.,  24
luglio 2013, n. 236, punto 3.3 del considerato in  diritto,  si  veda
anche Corte cost., 17 ottobre 2010, n. 326, punto 8.5 del considerato
in diritto). 
    Peraltro, tale  irragionevolezza  e  contraddittorieta'  trasmoda
anche  nella  chiara  violazione  degli  artt.  97   e   118   Cost.:
l'inadeguatezza delle risorse di cui disporranno  province  e  citta'
metropolitane nei prossimi anni, una volta assolto l'onere di  pagare
il contributo forzoso ad esse  imposto  dallo  Stato,  pregiudichera'
necessariamente  la  corretta  e  regolare  erogazione  dei   servizi
pubblici connessi all'esercizio delle funzioni fondamentali  di  loro
spettanza.  Compromettendo,  in  tal  modo,  il  principio  di   buon
andamento  ed  efficacia  della  pubblica  amministrazione  (art.  97
Cost.), e le competenze amministrative  ad  esse  spettanti  in  base
all'art. 118 Cost., confermate - solo teoricamente?  -  dall'art.  1,
commi 85 e ss. della legge n. 56/2014. 
A.3. Violazione dell'art. 114 Cost. 
    La   lesione   dell'autonomia   finanziaria   e    dell'autonomia
amministrativa delle province e delle citta'  metropolitane  sin  qui
evidenziate sono di tale gravita', peraltro, da comportare  una  piu'
ampia compromissione della dignita' autonoma delle province  e  delle
citta' metropolitane, quali componenti essenziali della Repubblica ex
art. 114 Cost. 
    Sembra in effetti assai difficile possano continuare,  ad  essere
considerati davvero autonomi enti che in sostanza divengono una sorta
di esattori per conto dello Stato, tenuti a versare nel suo  bilancio
parte consistente dei tributi propri; ed esposti progressivamente  ad
un rischio sempre piu' concreto di incapienza  (atteso  dallo  stesso
legislatore statale, come risulta dalla lettura  dell'art.  1,  comma
419, della legge n. 190/2014). 
    Il che mortifica, in ogni caso, la stessa dignita' costituzionale
delle comunita' provinciali, anch'esse  costituzionalmente  garantite
dall'art. 114  Cost.,  e  meritevoli  di  ricevere  servizi  pubblici
adeguati alla loro partecipazione, su  base  locale,  alle  pubbliche
spese. 
    Si  consideri,  del  resto,  che  le   disposizioni   della   cui
costituzionalita' si dubita non possono essere considerate  legittime
nemmeno ove si ritengano ispirate all'esigenza di far fronte ad una -
ormai perenne - situazione di crisi fiscale dello Stato italiano: «la
Costituzione esclude che uno stato di necessita' possa legittimare lo
Stato ad esercitare funzioni legislative in  modo  da  sospendere  le
garanzie costituzionali di autonomia degli enti territoriali»  (Corte
cost., 7 giugno 2012, n. 148, punto 3 del considerato in diritto). 
    Nel  perseguire  legittime  istanze  di  risanamento  dei   conti
pubblici  il  legislatore  statale  non  puo',   quindi,   comprimere
l'autonomia degli enti territoriali oltre una  certa  misura;  misura
che, nel caso di specie, e' stata senz'altro superata. 
A.4. Violazione degli artt. 117 e 118 Cost., nonche' del principio di
leale collaborazione. 
    Quanto sin qui considerato  non  puo'  non  avere  ripercussioni,
infine, sulle competenze amministrative e legislative  delle  regioni
(della regione Veneto, nel caso di specie) e, piu' in generale, degli
altri enti che compongono il sistema delle autonomie territoriali. 
    Le disposizioni della legge n. 190/2014 impugnate con il presente
ricorso  si  inseriscono  senz'altro  all'interno  «di  una   riforma
complessiva  di  una  parte  del  sistema  delle  autonomie   locali,
destinata a ripercuotersi sull'intero assetto degli enti esponenziali
delle  comunita'  territoriali,  riconosciuti   e   garantiti   dalla
Costituzione» (Corte cost., 19 luglio 2013, n. 220,  punto  11.3  del
considerato in diritto). 
    La  sopravvenuta  inadeguatezza  del  sistema  di   finanziamento
provinciale  ed  ogni  eventuale  disservizio  nell'erogazione  delle
prestazioni e dei servizi provinciali si tradurra',  inevitabilmente,
in altrettante disfunzioni finanziarie ed amministrative dei comuni o
della regione. Molteplici sono, infatti, le connessioni  tra  servizi
pubblici provinciali e servizi pubblici comunali e regionali. 
    Ne' si puo' ignorare che, in attuazione della riforma del sistema
degli enti locali delineata della legge n. 56/2014, alla  regione  ed
ai comuni dovrebbero essere attribuite in  tutto  od  in  parte  (con
legge regionale), le funzioni non fondamentali di  attuale  spettanza
delle province, con  ogni  conseguenza  sul  piano  finanziario:  nel
distribuire le competenze provinciali vanno «considerate  le  risorse
finanziarie, gia' spettanti alle province ai sensi dell'articolo  119
della  Costituzione,  che  devono   essere   trasferite   agli   enti
subentranti per l'esercizio delle funzioni loro  attribuite,  dedotte
quelle necessarie alle funzioni fondamentali» (cosi' l'art. 1,  comma
92, della legge n. 56/2014;  analogamente  dispongono  il  punto  15,
lett. e), dell'Accordo raggiunto nella Conferenza  unificata  dell'11
settembre 2014, e l'art.  1,  comma  1,  lett.  b)  del  d.P.C.M.  26
settembre 2014). 
    Le funzioni  amministrative  provinciali  non  fondamentali,  che
dovranno essere trasferite alla regione od ai  comuni,  continueranno
quindi ad essere finanziate con le risorse  proprie  delle  province,
anch'esse da trasferire agli enti subentranti.  Ne  consegue  che  il
contributo forzoso imposto dall'art. 1, commi 418, 419  e  451  della
legge n. 190/2014, oltre a  pregiudicare  direttamente  le  province,
pregiudichera' quindi indirettamente anche gli enti subentranti,  che
difficilmente potranno disporre delle risorse necessarie a finanziare
le funzioni non fondamentali loro attribuite. 
    Il contestato contributo forzoso incide gravemente, dunque, anche
sulla corretta distribuzione delle funzioni amministrative  tra  enti
di area  vasta,  regione  e  comuni,  che  spetterebbe  alla  regione
disciplinare nell'esercizio della  sua  competenza  legislativa,  nel
rispetto degli artt. 117 e 118 Cost. (art. 1, comma 89 della legge n.
56/2014: «lo Stato e le regioni, secondo  le  rispettive  competenze,
attribuiscono le funzioni provinciali diverse da  quelle  di  cui  al
comma 85, in attuazione dell'articolo 118 della Costituzione»). 
    In  Veneto,  le  funzioni  provinciali  non   fondamentali   sono
riconducibili  alle  seguenti  materie  (ricadenti   nella   potesta'
legislativa concorrente o residuale della regione):  servizi  per  il
lavoro, formazione e istruzione, politiche sociali,  turismo,  sport,
cultura e spettacolo, agriturismo,  attivita'  produttive.  In  tutti
questi ambiti, la regione vedra' inevitabilmente ed  illegittimamente
compressa la propria  potesta'  legislativa,  de  facto  vincolata  e
limitata dalla scarsita' di risorse finanziarie  provinciali  imposta
dallo Stato, tramite il contributo forzoso de quo. 
    Ne discende, dunque, la violazione degli artt. 117, commi terzo e
quarto, e 118 Cost. Nonche', a ben vedere,  del  principio  di  leale
collaborazione  (di  cui  agli  artt.  5  e  120  Cost.):  la  libera
attribuzione   delle   funzioni    provinciali    non    fondamentali
nell'esercizio  dei  rispettivi  ambiti  di  competenza  legislativa,
ribadita e concordata tra Stato e regioni anche in  sede  di  Accordo
raggiunto nella Conferenza unificata dell'11 settembre  2014,  appare
incompatibile con la successiva decisione statale di  intervenire  in
modo cosi' drastico ed unilaterale sulle risorse delle province,  con
tutte le  conseguenze  pregiudizievoli  per  l'intero  sistema  delle
autonomie locali, sin qui evidenziate. 
B. Illegittimita' costituzionale dell'art. 1,  commi  da  421  a  428
della legge 23 dicembre 2014, n. 190. 
B.1. Violazione degli artt. 3 e 35 Cost. 
    Rilievi d'incostituzionalita' non dissimili, e forse ancora  piu'
netti, possono essere mossi ai commi da 421 a 428 dell'art.  1  della
legge n. 190/2014, che obbligano province e  citta'  metropolitane  a
ridurre la loro dotazione organica del 50% e del 30% rispettivamente. 
    Anche questo vero e proprio «taglio  lineare»  del  personale  in
servizio presso gli enti di area vasta  risponde  alla  logica  (gia'
evidenziata sub  A.2)  di  ridurre  in  concreto  le  loro  capacita'
amministrative  ed  organizzative,  costringendoli  in   sostanza   a
dismettere, con il personale, funzioni e competenze. 
    La riduzione forzosa della dotazione organica disposta  dall'art.
1, comma 421 della legge n. 190/2014 e' tuttavia tale - nel quomodo e
nel quantum - da  contraddire  in  modo  netto  ed  irreversibile  il
percorso  di  riforma  del  sistema  delle   autonomie   territoriali
tracciato dalla legge  n.  56/2014,  e  da  ledere  irrimediabilmente
l'autonomia e la  dignita'  costituzionale  delle  province  e  delle
citta' metropolitane. 
    In base a quanto stabilisce l'art. 1, commi 92 e 96  della  legge
n. 56/2014, il personale delle province e delle citta'  metropolitane
avrebbe dovuto essere trasferito agli  enti  subentranti,  unitamente
alle relative dotazioni strumentali e risorse  finanziarie,  dopo  la
(ed in funzione della) riallocazione delle funzioni non fondamentali.
Salvo restando, evidentemente, il mantenimento in servizio presso gli
enti di area vasta del personale dedicato alle funzioni fondamentali. 
    I commi 421 e ss. dell'art. 1 della legge  n.  190/2014,  invece,
prescindono  da  qualunque  previa  determinazione  in  ordine   alle
funzioni effettivamente attribuite - ed attribuibili - a  province  e
citta' metropolitane, disponendo una riduzione coattiva del personale
in servizio del tutto immotivata ed illogica. E la contraddizione  e'
tanto piu' evidente se si considera che a piu' riprese, nei commi 421
e ss. della legge n. 190/2014, il legislatore richiama  espressamente
la legge n. 56/2014, dichiarando persino  -  comma  421  -  di  voler
tenere conto  «delle  funzioni  attribuite  ai  predetti  enti  dalla
medesima legge 7 aprile 2014, n. 56». 
    Vero e', invece, che disponendo d'autorita' il taglio lineare del
personale prima della  riallocazione  delle  funzioni  amministrative
provinciali, e senza alcun collegamento ad essa,  il  legislatore  ha
agito in modo  evidentemente  contraddittorio  ed  irragionevole,  in
violazione  dell'art.  3  Cost.:  in  pendenza  di  un  processo   di
riorganizzazione delle autonomie locali,  disporre  un  trasferimento
coattivo di personale senza sapere prima quali funzioni continueranno
ad essere svolte dall'ente di partenza, e  quali  saranno  attribuite
all'ente di arrivo, contrasta con il comune buon senso, prima  ancora
che con la Costituzione italiana. 
    Come del tutto contrario al comune buon senso  e  contraddittorio
e' che il taglio del  personale  venga  disposto  linearmente,  senza
tenere conto di quale parte del personale delle singole province  sia
effettivamente destinato a svolgere funzioni fondamentali. 
    L'irragionevolezza diviene manifesta proprio alla luce  dei  dati
concreti, quali risultano dalla ricognizione dei costi del  personale
degli enti veneti di area vasta (in esecuzione dell'art. 2, comma  2,
del d.P.C.M. 26  settembre  2014  e'  stata,  infatti,  eseguita  una
puntale  mappatura  delle  risorse  connesse  a  tutte  le   funzioni
provinciali, i cui esiti si allegano sub docc. 3 - 9). 
    Qualche esempio puo' essere utile: 
        a) per quanto riguarda  la  provincia  di  Padova,  il  costo
complessivo  lordo  annuo   del   personale   (comprese   le   figure
dirigenziali)  e'  pari  a  quasi  18  milioni  di  euro;  il   costo
complessivo lordo annuo del  personale  riconducibile  alle  funzioni
fondamentali (dirigenti inclusi) di cui all'art. 1, comma  85,  della
legge n. 56/2014, e' pari a quasi 14 milioni di  euro  (doc.  3);  in
sostanza, oltre il 76% della spesa per il personale  della  provincia
di Padova riguarda le sole funzioni fondamentali; 
        b) in provincia di Verona, il costo complessivo  lordo  annuo
del personale (comprese le figure dirigenziali) ammonta a  poco  piu'
di 19 milioni di euro. Il costo complessivo lordo annuo del personale
riconducibile alle funzioni fondamentali (dirigenti inclusi) e'  pari
a circa 17 milioni di euro (doc. 4); per un  totale  di  quasi  l'89%
della spesa del personale dedicata alle funzioni fondamentali; 
        c) in provincia di Treviso il costo complessivo  lordo  annuo
del personale (comprese le figure dirigenziali) supera i  24  milioni
di euro; il costo complessivo lordo annuo del personale riconducibile
alle funzioni fondamentali (dirigenti inclusi) e' pari a  quasi  18,5
milioni di euro (doc. 5), che  ammonta  a  piu'  del  76%  del  costo
complessivo; 
        d) in provincia di Vicenza il costo complessivo  lordo  annuo
del personale (comprese  le  figure  dirigenziali)  e'  quasi  di  16
milioni di euro; il  costo  complessivo  lordo  annuo  del  personale
riconducibile alle funzioni fondamentali (dirigenti  inclusi)  e'  di
quasi 14 milioni di euro (doc. 6),  pari  a  circa  l'88%  del  costo
complessivo del personale; 
    Tali conteggi  (che  possono  essere  similmente  effettuati  con
riferimento alle  rimanenti  province  venete,  alla  luce  dei  dati
risultanti dagli allegati docc. 7 - 9), consentono di evidenziare che
il taglio della dotazione organica disposto dall'art.  1,  comma  421
della legge n. 190/2014 comportera' anche la necessita' di  collocare
in  mobilita'  personale  destinato   alle   funzioni   fondamentali:
vanificando, dunque, la stessa ratio dell'art.  1,  comma  85,  della
legge n. 56/2014. 
    Ne' si puo' tacere che, in base all'art. 1, comma 92, della legge
n.   56/2014,   il   processo   di   riallocazione   delle   funzioni
amministrative provinciali avrebbe dovuto garantire  «i  rapporti  di
lavoro a  tempo  indeterminato  in  corso,  nonche'  quelli  a  tempo
determinato in corso fino alla scadenza per essi prevista». 
    L'art.  1,  comma  428  della  legge  n.  190/2014  pacificamente
ammette, invece, la possibilita' di mancato riassorbimento  di  tutto
il personale in soprannumero, ove stabilisce che  in  questa  ipotesi
«si applicano le disposizioni dell'articolo 33,  commi  7  e  8,  del
decreto legislativo 30 marzo 2001,  n.  165».  L'articolo  da  ultimo
richiamato disciplina, si ricordi, il collocamento in  disponibilita'
del personale pubblico, che puo' durare fino ad un periodo massimo di
24 mesi al termine del  quale,  in  caso  di  mancata  ricollocazione
presso altra pubblica  amministrazione,  il  rapporto  di  lavoro  si
risolve. 
    Con  cio'  si  determina,   oltre,   ad   un'evidente   ulteriore
contraddittorieta' intrinseca, anche una chiara violazione  dell'art.
35 Cost., che la regione e' in questa sede senz'altro  legittimata  a
far valere, considerate le  ricadute  che  il  taglio  del  personale
disposto dal legislatore statale ha sull'intero sistema organizzativo
delle autonomie territoriali. 
B.2. Violazione degli artt. 3, 97 e 118 Cost. 
    Il taglio lineare del personale disposto dall'art. 1, commi 421 e
ss. della legge n. 190/2014 viola l'art. 3 Cost., poi,  nella  misura
in cui tratta tutte le province e le  citta'  metropolitane  italiane
nello stesso modo, senza considerare che sul territorio nazionale  la
loro situazione organizzativa e' fortemente differenziata:  non  solo
per quanto il riguarda il numero (ed il costo) del personale  addetto
alle funzioni provinciali, fondamentali e non (se  ne  trae  conferma
gia' esaminando i dati di cui ai docc. 3 - 9), ma anche per cio'  che
concerne  il  rapporto  tra  esigenze  amministrative  di   un   dato
territorio (popolazione) e numero di dipendenti provinciali  (e  loro
costo). 
    Disporre   d'autorita'   l'indifferenziato   dimezzamento   della
dotazione  organica  di  tutte  le  province,  senza  alcun  criterio
razionale,  provoca  l'irragionevole  effetto   di   penalizzare   le
amministrazioni  che  hanno  gia'  ottimizzato  la   loro   struttura
organizzativa, e di favorire invece quelle  ancora  ipertrofiche.  Ad
essere piu' colpiti dal taglio lineare saranno, infatti, gli enti  di
area vasta che, in  rapporto  alle  funzioni  amministrative  svolte,
hanno il numero (ed il costo) minore di personale. 
    Come accadra'  puntualmente  in  Veneto,  in  cui  l'applicazione
dell'art. 1, commi 421 e ss.  della  legge  n.  190/2014  comportera'
anche la necessita' di collocare  in  mobilita'  personale  destinato
alle funzioni fondamentali; con immediato pregiudizio, dunque, per  i
servizi  essenziali  e  per  il  corretto  svolgimento  delle  stesse
funzioni fondamentali che sono ancora di spettanza degli enti di area
vasta. 
    Il taglio indiscriminato disposto dallo Stato viola quindi  anche
i piu' basilari principi  di  buona  amministrazione  e  di  corretta
distribuzione delle funzioni amministrative, di  cui  rispettivamente
agli artt. 97 e 118 Cost. 
    La pubblica amministrazione ha, in base ai  consolidati  principi
desumibili dall'art. 97 Cost., confermati dall'art. 1 della legge  14
agosto 1990, n. 241, precisi obblighi di efficienza ed efficacia, che
rispondono   ad    una    logica    fortemente    procedimentalizzata
dell'attivita'  amministrativa:  ogni  intervento  d'autorita'  sulla
pianta organica degli enti pubblici che prescinda da qualunque previa
ed  approfondita  valutazione  su  quanto  personale  (e   di   quale
qualifica) sia effettivamente necessario per portare a compimento  in
modo efficace ed efficiente l'attivita' amministrativa dell'ente  e',
pertanto, non solo irragionevole, ma anche contrario al principio del
buon andamento. 
    A  diverse  conclusioni  si  sarebbe  potuti   giungere   se   il
legislatore statale si fosse  fatto  carico  di  modulare  il  taglio
coattivo del personale sulla base di qualche criterio plausibile (per
quanto «standardizzato») di computo delle  esigenze  organiche  degli
enti di area vasta, tenendo conto della popolazione residente,  delle
funzioni   loro   attribuite   e   delle   conseguenze   sul    piano
procedimentale. Ma cosi' non e'. 
    La costante giurisprudenza di questa Corte  ha  qualificato  come
principi fondamentali  in  materia  di  coordinamento  della  finanza
pubblica le norme statali che incidono sulla spesa per  il  personale
(da ultimo Corte cost., 3  dicembre  2014,  n.  269,  punto  5.1  del
considerato in diritto). Cio' non legittima, tuttavia, il legislatore
statale ad intervenire in questo ambito senza alcun criterio: tant'e'
che le ipotesi con cui la giurisprudenza costituzionale  si  e'  piu'
spesso confrontata riguardano limiti alla spesa per il personale  non
formulati in termini assoluti, ma in connessione alla spesa  corrente
(cosi', ad esempio, il limite a nuove assunzioni di cui all'art.  76,
comma 7, del d.l. 25 giugno 2008, n. 112; convertito  dalla  legge  6
agosto 2008, n. 133, sul quale si vedano, ad esempio, Corte cost.,  6
dicembre 2013, n. 289, e Corte cost., 7 giugno 2012,  n.  148,  punto
5.1 del considerato in diritto). 
    Le disfunzioni e disomogeneita' organizzative  cui  condurra'  il
dimezzamento della dotazione organica di tutte  le  province  finira'
per riflettersi, d'altra parte, sulla  corretta  distribuzione  delle
funzioni amministrative tra gli altri enti  (comuni  e  regione)  che
compongono  il  sistema  delle  autonomie  locali:  come   facilmente
ipotizzabile, gli eventuali disservizi nelle funzioni  amministrative
provinciali rischieranno di tradursi in altrettanti disservizi  nelle
funzioni amministrative regionali e comunali connesse. 
    Inoltre,  si  deve  ricordare  che  spetterebbe   alla   regione,
nell'esercizio  della  sua  potesta'  legislativa,   attribuire   «le
funzioni provinciali diverse  da  quelle  di  cui  al  comma  85,  in
attuazione  dell'articolo  118  della   Costituzione»,   individuando
l'«ambito territoriale ottimale di esercizio per  ciascuna  funzione»
(art. 1, comma 89, della legge n. 56/2014). La riduzione coattiva del
personale  e'  tale  da   impedire,   invece,   qualunque   ragionata
distribuzione delle funzioni amministrative  non  fondamentali:  dato
che le province non potranno  disporre  del  personale  necessario  a
svolgerle, la  regione  si  vedra'  costretta  ad  attribuire  a  se'
medesima ed ai comuni anche le funzioni non fondamentali  che  invece
potrebbero meritare, alla  luce  dei  principi  di  sussidiarieta'  e
adeguatezza, di essere conservate in capo alle province. 
    Da cio' la chiara lesione anche dell'art. 118 Cost., primo  comma
(oltre che dell'art. 117 Cost., come si avra' modo  di  rilevare  sub
B.4). 
B.3. Violazione dell'art. 114 Cost. 
    La riduzione coattiva ed indiscriminata della dotazione  organica
degli enti di  area  vasta  determina,  analogamente  a  quanto  gia'
considerato (sub A.3) con riferimento al contributo  forzoso  imposto
dall'art. 1, comma 418, della  legge  n.  190/2014,  una  piu'  ampia
compromissione della dignita' autonoma delle province e delle  citta'
metropolitane, quali componenti essenziali della Repubblica  ex  art.
114 Cost. 
    Come puo' essere considerato davvero  autonomo  un  ente  la  cui
dotazione organica viene definita aliunde, ed in base a  criteri  che
prescindono completamente da una previa  valutazione  sull'efficienza
ed efficacia della  sua  azione  amministrativa?  Province  e  citta'
metropolitane non sono articolazioni periferiche dell'amministrazione
statale, e la  dotazione  organica  costituisce  senz'altro  uno  dei
profili piu' significativi e  caratterizzanti  della  loro  struttura
organizzativa.  L'intervento  statale  d'autorita'  sulla   dotazione
organica degli enti di area vasta lede dunque, per la misura  che  lo
contraddistingue e per i modi con cui  e'  stato  disposto,  la  loro
dignita' costituzionale, in violazione dell'art. 114 Cost. 
    Ne' si possono tacere le conseguenze per le collettivita'  locali
amministrate dagli enti di area vasta, anch'esse  tutelate  dall'art.
114 Cost., ed anch'esse pregiudicate da  una  decisione  dello  Stato
centrale che - per quanto sin qui evidenziato - avra' un  inevitabile
impatto  negativo  sull'erogazione  dei  servizi  pubblici  e   sulle
funzioni fondamentali che province e  citta'  metropolitane  dovranno
continuare a svolgere. 
    Il chiaro intento perseguito dal legislatore nazionale, anche con
i commi 421-428  dell'art.  1  della  legge  n.  190  (ridimensionare
oltremodo  le   province,   in   attesa   della   loro   eliminazione
dall'ordinamento giuridico italiano), non  giustifica  un  intervento
legislativo di tal fatta, alla luce della  vigente  Costituzione:  la
revisione costituzionale continua ad essere condizione necessaria  di
ogni eventuale, ulteriore «depotenziamento» delle province. 
B.4. Violazione dell'art.  117  Cost.,  commi  3  e  4,  nonche'  del
principio di leale collaborazione. 
    Anche i commi da 421 a 428 dell'art. 1 della  legge  n.  190/2014
meritano, infine, censura sotto il  profilo  della  violazione  delle
competenze legislative della regione. 
    Si e' gia' ricordato come in base  all'art.  1,  comma  89  della
legge n. 56/2014, le funzioni non fondamentali delle province e delle
citta' metropolitane debbano essere riallocate dallo  Stato  e  dalle
regioni nei limiti delle rispettive  competenze  legislative,  previo
accordo in Conferenza unificata.  In  virtu'  dell'accordo  raggiunto
nella Conferenza unificata dell'11 settembre 2014,  lo  Stato  si  e'
riservato il riordino delle funzioni amministrative non  fondamentali
in tema di tutela delle minoranze (punto 9, lett.  b)  dell'Accordo),
riconoscendo alle regioni la competenza a  provvedere  per  tutte  le
altre  funzioni  non  fondamentali   attualmente   esercitate   dalle
province. 
    La regione Veneto potrebbe - e dovrebbe -, dunque, disporre delle
funzioni amministrative provinciali non  fondamentali,  riconducibili
alle materie  di  propria  competenza  legislativa  (servizi  per  il
lavoro, formazione e istruzione, politiche sociali,  turismo,  sport,
cultura e spettacolo, agriturismo, attivita' produttive). 
    In  tutti  questi  ambiti,  appartenenti  alla   sua   competenza
legislativa concorrente  o  residuale,  spetta  alla  regione  Veneto
decidere se le connesse funzioni amministrative siano  da  confermare
in capo alle province, oppure debbano essere attribuite ai comuni  od
alla  regione  medesima.  A  tale   decisione   dovrebbero   seguire,
conformemente all'art. 1, commi 92 e 96 della legge n. 56/2014, tutti
i necessari  trasferimenti  di  personale,  dotazioni  strumentali  e
risorse. 
    Nulla di tutto cio' potra' davvero avvenire, a causa  del  taglio
lineare delle dotazioni organiche disposto dall'art.  1,  comma  421,
della legge n. 190/201. Gli enti di area  vasta  (e  le  province  in
particolare) non avranno a disposizione neppure personale sufficiente
a svolgere in modo efficace ed effettivo  le  funzioni  fondamentali;
riesce  difficile  comprendere,  dunque,  con  quali  risorse   umane
dovrebbero svolgere anche le  ulteriori  funzioni  non  fondamentali,
teoricamente loro attribuibili dalla regione. Il pieno esercizio  del
potere legislativo regionale e' dunque sostanzialmente vanificato  ex
ante, o comunque gravemente limitato e pregiudicato. 
    La decisione dello Stato di dimezzare il personale degli enti  di
area vasta prima della - ed a prescindere dalla - riallocazione delle
funzioni amministrative comporta, percio', la violazione di tutte  le
relative competenze legislative regionali,  in  violazione  dell'art.
117 Cost., commi terzo e quarto. 
    Evidente e', poi, anche la  violazione  del  principio  di  leale
collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost., dato che il  percorso
di  riforma  del  sistema  delle  autonomie  locali  era  stato   ben
diversamente delineato dall'art. 1, commi 91 e  92,  della  legge  n.
56/2014, ed altrettanto diversamente concordato in sede di Conferenza
unificata (Accordo dell'11 settembre 2014). Tanto la legge n. 56/2014
quanto l'Accordo appena ricordato confermano che il trasferimento del
personale sarebbe dovuto avvenire dopo  la  (ed  in  funzione  della)
riallocazione  delle   funzioni   non   fondamentali,   ed   entrambi
riconoscevano la piena  legittimazione  delle  regioni  a  legiferare
liberamente al riguardo, nei limiti delle loro competenze. 
    Tanto premesso la regione  Veneto,  come  sopra  rappresentata  e
difesa, dimette le seguenti,