Ricorso per la regione Veneto (C.F. 80007580279 - P.IVA 02392630279), in persona del Presidente della Giunta regionale dott. Luca Zaia (C.F. ZAILCU68C27C957O), autorizzato con delibera della Giunta regionale n. 152 del 10 febbraio 2015, rappresentata e difesa, come da procura speciale a margine del presente atto, dagli avv.ti prof. Mario Bertolissi del Foro di Padova (C.F. BRTMRA48T28L483I), Ezio Zanon coordinatore dell'Avvocatura regionale (C.F. ZNNZEI57L07B563K) e Luigi Manzi del Foro di Roma (C.F. MNZLGU34E15H501V), presso quest'ultimo domiciliata in Roma, alla via Federico Confalonieri, n. 5 (fax 06/3211370, posta elettronica certificata luigimanzi@ordineavvocatiroma.org); Contro il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso la quale e' domiciliato ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12; Per la declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 418, 419, 451 e commi da 421 a 428 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2015)» pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 29 dicembre 2014, n. 300, S.O., per violazione degli artt. 3, 35, 97, 114, 117, commi terzo e quarto, 118, 119 commi primo, secondo e quarto, 120 della Costituzione della Repubblica italiana. F a t t o In data 29 dicembre 2014 e' stata pubblicata, nella Gazzetta ufficiale n. 300, la legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita' 2015)». La predetta legge contiene diverse disposizioni che influiscono gravemente sul processo di riforma dell'ordinamento degli enti locali tracciato dalla legge 7 aprile 2014, n. 56 («Disposizioni sulle citta' metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni»), risolvendosi in molteplici e decisivi pregiudizi per le attribuzioni costituzionali degli enti di area vasta veneti, oltre che per l'autonomia amministrativa e legislativa della regione Veneto. Due sono, in particolare, i complessi normativi che meritano censura in questa sede. 1. Il primo, costituito dai commi 418, 419 e 451 dell'art. 1 della legge n. 190/2014, incide in modo significativo sulle risorse proprie di province e citta' metropolitane, minacciandone la solvibilita' e l'effettiva possibilita' di continuare a svolgere le funzioni amministrative di loro competenza. L'art. 1, comma 418 stabilisce, in particolare, che «Le province e le citta' metropolitane concorrono al contenimento della spesa pubblica attraverso una riduzione della spesa corrente di 1.000 milioni di euro per l'anno 2015, di 2.000 milioni di euro per l'anno 2016 e di 3.000 milioni di euro a decorrere dall'anno 2017». (...) Ciascuna provincia e citta' metropolitana versa ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato un ammontare di risorse pari ai predetti risparmi di spesa. Vi si prevede, poi, che «l'ammontare della riduzione della spesa corrente che ciascun ente deve conseguire e del corrispondente versamento» alle casse dello Stato debba essere determinato «con decreto di natura non regolamentare del Ministero dell'interno, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze». Il successivo comma 419 appresta un regime di recupero forzoso del contributo obbligatorio di cui al precedente comma. «In caso di mancato versamento del contributo di cui al comma 418, entro il 30 aprile di ciascun anno (...), l'Agenzia delle entrate (...) provvede al recupero delle predette somme nei confronti delle province e delle citta' metropolitane interessate, a valere sui versamenti dell'imposta sulle assicurazioni contro la responsabilita' civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, esclusi i ciclomotori (...). In caso di incapienza (...) il recupero e' effettuato a valere sui versamenti dell'imposta provinciale di trascrizione». L'art. 1, comma 451 della legge n. 190/2014 aggrava ulteriormente il regime di contribuzione forzosa delineato dai commi 418 e 419 prorogando anche per l'anno 2018 analogo contributo coattivo posto a carico di province e citta' metropolitane dall'art. 47 del d.l. 24 aprile 2014, n. 66 (pari a «576,7 milioni di euro per l'anno 2015 e 585,7 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016, 2017 e 2018»). 2. Il secondo complesso normativo e' rappresentato dai commi 421-428 della legge n. 190/2014, con cui il legislatore statale ha ritenuto di disporre d'autorita' un vero e proprio taglio lineare del personale in servizio presso citta' metropolitane e province, dagli effetti immediati e prorompenti sotto il profilo organizzativo e funzionale. In base all'art. 1, comma 421 della legge n. 190/2014, «La dotazione organica delle citta' metropolitane e delle province delle regioni a statuto ordinario e' stabilita, a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, in misura pari alla spesa del personale di ruolo alla data di entrata in vigore della legge 7 aprile 2014, n. 56, ridotta rispettivamente, tenuto conto delle funzioni attribuite ai predetti enti dalla medesima legge 7 aprile 2014, n. 56, in misura pari al 30 e al 50 per cento e in misura pari al 30 per cento per le province, con territorio interamente montano e confinanti con paesi stranieri». Salva restando, per gli enti di area vasta, la possibilita' di deliberare una riduzione superiore. I successivi commi da 422 a 428 dell'art. 1 della legge n. 190/2014, in attuazione del comma 421, contengono la disciplina applicabile al ricollocamento del personale in soprannumero, stabilendo nel dettaglio scansioni temporali e regole applicabili al personale in mobilita'. Il comma 422, in specie, stabilisce che il personale che rimane assegnato agli enti di area vasta e quello da destinare alle procedure di mobilita' deve essere individuato entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge n. 190/2014. Il comma 423 affida a societa' in house statali il compito di collaborare alla predisposizione di «piani di riassetto organizzativo, economico, finanziario e patrimoniale degli enti di cui al comma 421». In base al comma 424, regioni ed enti locali per gli anni 2015 e 2016 «destinano le risorse per le assunzioni a tempo indeterminato (...) all'immissione nei ruoli dei vincitori di concorso pubblico collocati nelle proprie graduatorie vigenti o approvate alla data di entrata in vigore della presente legge e alla ricollocazione nei propri ruoli delle unita' soprannumerarie destinatarie dei processi di mobilita'». Il comma 425 disciplina la ricollocazione di parte del personale in mobilita' «presso le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le agenzie, le universita' e gli enti pubblici non economici», disponendo che tale ricollocazione deve avvenire prioritariamente «presso gli uffici giudiziari». Il comma 426 proroga al 31 dicembre 2018 la disciplina volta al superamento del precariato di cui all'art. 4, commi 6, 8 e 9 del d.l. 31 agosto 2013, n. 101 (convertito in legge dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125). Il legislatore ha poi stabilito (comma 427) che «nelle more della conclusione delle procedure di mobilita' di cui ai commi da 421 a 428, il relativo personale rimane in servizio presso le citta' metropolitane e le province con possibilita' di avvalimento da parte delle regioni e degli enti locali attraverso apposite convenzioni che tengano conto del riordino delle funzioni e con oneri a carico dell'ente utilizzatore». Infine (comma 428), qualora al 31 dicembre 2016 «il personale interessato ai processi di mobilita' di cui ai commi da 421 a 425 non sia completamente ricollocato», spetta agli enti di area vasta «definire criteri e tempi di utilizzo di forme contrattuali a tempo parziale del personale non dirigenziale con maggiore anzianita' contributiva. (...) In caso di mancato completo assorbimento del personale in soprannumero e a conclusione del processo di mobilita' tra gli enti di cui ai commi da 421 a 425, si applicano le disposizioni dell'articolo 33, commi 7 e 8, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165». Avverso le disposizioni della legge n. 190/2014 sin qui ricordate la regione Veneto propone ricorso ai sensi dell'art. 127 Cost., a tutela della sua autonomia legislativa, amministrativa e finanziaria, nonche' delle attribuzioni costituzionali degli enti di area vasta veneti (come ammesso dalla giurisprudenza costituzionale consolidata; in tal senso, ad esempio: Corte cost., 19 luglio 2013, n. 220, punto 5.1 del considerato in diritto; Corte cost., 20 dicembre 2012, n. 311, punto 3.2 del considerato in diritto; Corte cost., 20 novembre 2009, n. 298, punto 7.2 del considerato in diritto), chiedendone la declaratoria d'illegittimita' costituzionale per i seguenti motivi di D i r i t t o A. Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 418, 419 e 451 dell'art. 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190. A.1. Violazione dell'art. 119 Cost., commi primo, secondo e quarto. Cio' che l'art. 1, comma 418 della legge n. 190/2014 definisce «riduzione della spesa corrente di 1.000 milioni di euro per l'anno 2015, di 2.000 milioni di euro per l'anno 2016 e di 3.000 milioni di euro a decorrere dall'anno 2017», che province e citta' metropolitane hanno l'obbligo di conseguire, e' in realta', all'evidenza, un contributo economico forzoso che gli enti di area vasta sono tenuti a versare alle casse dello Stato. Del tutto analoghe sono le caratteristiche (e la ratio) del contributo disciplinato dall'art. 47 del d.l. n. 66/2014, prorogato fino al 2018 dall'art. 1, comma 451, della legge n. 190/2014. In sostanza, l'obiettivo del «contenimento della spesa pubblica» di cui ragiona il comma 418 non viene perseguito tramite processi di ottimizzazione nella gestione delle risorse statali (o locali), ma attraverso lo spostamento coattivo di risorse dalla periferia al centro: la leva fiscale e le conseguenti risorse proprie di province e citta' metropolitane dovranno essere utilizzate (ed in modo consistente) non per finanziare le funzioni di area vasta, ma per contribuire al risanamento del bilancio statale. Si tratta di un meccanismo che sovverte ab imis i principi costituzionali precipitati nell'art. 119 Cost., a partire da quello di autonomia finanziaria. Non v'e' dubbio, infatti, che l'«autonomia finanziaria di entrata e di spesa» (art. 119, comma primo Cost.), le «risorse autonome» ed i «tributi ed entrate propri» (art. 119, comma quarto Cost.) di cui possono - e devono - giovarsi province e citta' metropolitane, hanno a che vedere con la loro capacita' di gestire responsabilmente le risorse economiche di cui dispongono, senza vincolo di subordinazione rispetto ad alcun altro ente costitutivo della Repubblica. Capacita' che, pero', viene sostanzialmente meno quando si impone loro di destinare una parte cosi' rilevante di tali risorse al finanziamento delle funzioni altrui (dello Stato, in specie), in luogo delle proprie. La lesione dell'autonomia di entrata e di spesa delle province e delle citta' metropolitane diviene chiara, del resto, proprio alle luce delle modalita' di riscossione coattiva del contributo forzoso delineate dal comma 419, che incide sulle piu' significative forme di finanziamento delle funzioni di area vasta: l'imposta sulle assicurazioni contro la responsabilita' civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, la cui aliquota puo' essere dalle province innalzata dal 12,5 al 16% (ai sensi dell'art. 17, comma 2, del d.lgs. 6 maggio 2011, n. 68); l'imposta provinciale di trascrizione, sulle cui tariffe le province hanno un margine di manovra del 30% (in base all'art. 56, comma 2, del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446). Il legislatore statale ha, addirittura, dato per scontato che il prelievo forzoso imposto dall'art. 1, comma 418 della legge n. 190/2014 possa esaurire l'intero gettito derivante dall'imposta sulle assicurazioni contro la responsabilita' civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore (che rappresenta, da solo, piu' della meta' delle entrate tributarie di cui dispongono le province - doc. 1 -). Tant'e' che il comma 419 dispone che «in caso di incapienza» dei versamenti relativi a quest'ultima, l'Agenzia delle entrate effettua il recupero delle somme dovute «a valere sui versamenti dell'imposta provinciale di trascrizione». Con cio', a ben vedere, viene persino meno la natura di tributi propri derivati delle due principali imposte provinciali, che presupporrebbe l'effettivo mantenimento in capo alle province ed alle citta' metropolitane del relativo gettito. Lo Stato potra', cosi', giovarsi delle risorse raccolte da province e citta' metropolitane senza assumere in alcun modo la responsabilita' politica delle corrispondenti decisioni impositive. Anche sotto questo profilo, appare evidente la violazione dei principi di autonomia - e di responsabilita' - finanziaria di cui all'art. 119 Cost. Al riguardo, giova ricordare come questa Corte abbia dichiarato l'illegittimita' costituzionale, per violazione dell'art. 119 Cost., commi primo e quarto, delle norme che «impongono alle regioni di deliberare gli aumenti fiscali (...) in presenza di un persistente accentramento statale del servizio» finanziato con tali risorse. Norme di tal fatta ledono non solo «l'autonomia di entrata delle stesse», ma anche «l'autonomia di spesa, poiche' obbligano le regioni ad utilizzare le proprie entrate a favore di organismi statali (...), per l'esercizio di compiti istituzionali di questi ultimi. (...) Risulta violato altresi' il quarto comma dell'art. 119 Cost., sotto il profilo del legame necessario tra le entrate delle regioni e le finzioni delle stesse, poiche' lo Stato, pur trattenendo per se' le funzioni (...), ne accolla i costi alle regioni stesse» (cosi' Corte cost., 16 febbraio 2012, n. 22, punti 5.2 e 5.3 del considerato in diritto). La misura del contributo forzoso imposto dallo Stato e', poi, tale da rischiare di condurre al dissesto anche gli enti piu' virtuosi, o comunque da pregiudicare in modo grave il finanziamento integrale delle funzioni fondamentali delle province e citta' metropolitane, come confermate dall'art. 1, comma 85, della legge n. 56/2014 (pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, tutela e valorizzazione dell'ambiente, pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato, costruzione e gestione delle strade provinciali e regolazione della circolazione stradale; programmazione provinciale della rete scolastica; raccolta ed elaborazione di dati, assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali; gestione dell'edilizia scolastica; controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale e promozione delle pari opportunita' sul territorio provinciale). Il contributo forzoso imposto dalla legge di stabilita' per il 2015 alle province venete causera', in particolare, un disequilibrio grave nei saldi di parte corrente relativi alla spesa per funzioni fondamentali, pari complessivamente a oltre 50 milioni di euro nel 2015, e ad oltre 120 milioni di euro nel 2016 (doc. 2, pp. 2-4). In tutte le province venete il saldo di parte corrente diverra' negativo, con punte nel 2016 di circa 18 milioni di euro (provincia di Padova - doc. 2, p. 6), 34 milioni di euro (provincia di Treviso - doc. 2, p. 8), 22 milioni di euro (provincia di Venezia - doc. 2, p. 9), 20 milioni di euro (provincia di Verona - doc. 2, p. 10), 28 milioni di euro (provincia di Vicenza - doc. 2, p. 11). A pieno regime (dal 2017), la misura massima del contributo (3 miliardi di euro) avra' - ovviamente - effetti ancora piu' dirompenti. Da tutto cio' discende, dunque, anche la chiara violazione dell'art. 119 Cost., comma 4: a causa dell'effetto combinato dei contributi imposti dall'art. 1, comma 418 della legge n. 190/2014, e dall'art. 47 del d.l. n. 66/2014 (prorogato fino al 2018 dall'art. 1, comma 451, della legge n. 190/2014), province e citta' metropolitane non riusciranno con le proprie risorse a «finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite». La violazione dell'autonomia finanziaria delle province trova conferma, del resto, proprio alla luce della giurisprudenza costituzionale consolidata in base alla quale il legislatore statale puo' imporre alle regioni e agli enti locali «vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all'autonomia di spesa degli enti territoriali», a patto pero' che tali limiti «siano rispettosi del canone generale della ragionevolezza e proporzionalita' dell'intervento normativo rispetto all'obiettivo prefissato» (Corte cost., 11 febbraio 2014, n. 22, punto 4.2.2 del considerato in diritto; analogamente, tra le altre, Corte cost., 24 luglio 2013, n. 236, punto 3.3 del considerato in diritto). Non puo' certo dirsi ragionevole, ne' proporzionato, un contributo forzoso che avra' un impatto pregiudizievole decisivo - di cui si e' detto - sul loro equilibrio di bilancio, e sullo stesso svolgimento delle funzioni fondamentali provinciali. Inoltre, questa corte ha piu' volte ricordato che i limiti alle politiche di bilancio imposti dallo Stato agli enti territoriali possono essere ritenuti conformi a Costituzione solo se transitori: «l'estensione a tempo indeterminato delle misure restrittive» e', invece, illegittima (cosi' Corte cost., 19 luglio 2012, n. 193, punto 4.2 del considerato in diritto; nello stesso senso, di recente, Corte cost., 13 marzo 2014, n. 44, punto 6 del considerato in diritto). Non v'e' dubbio che la disciplina di cui all'art. 1, comma 418 della legge n. 190/2014 e' ab origine concepita come non transitoria: il contributo forzoso e' infatti stabilito in misura «ridotta» per il 2015 ed il 2016, ma operera' nella misura definitiva, pari a 3.000 milioni di euro, «a decorrere dall'anno 2017», senza che sia stabilito alcun limite temporale. Anche sotto questi profili in contributo forzoso de quo e', quindi, illegittimo per violazione dell'art. 119 Cost. A.2. Violazione degli artt. 3, 97 e 118 Cost. Quanto poco sopra considerato in tema di ricadute concrete del contributo forzoso disciplinato dall'art. 1, commi 418 e 419 della legge n. 190/2014 (e 451, nei limiti di cui si e' detto) consente di illustrare ulteriori, numerosi profili di illegittimita' costituzionale da cui sono affette le disposizioni della legge di stabilita' per il 2015 in questa sede gravate. L'intento che muove il legislatore statale, nemmeno particolarmente celato, e' quello di comprimere in modo progressivo e stringente le attribuzioni delle province, in attesa della loro programmata soppressione, previa eliminazione di ogni riferimento ad esse dal testo della Costituzione ad opera di una legge di revisione costituzionale (analoghe considerazioni valgono per il taglio lineare del personale provinciale disposto dall'art. 1, commi 421-428 della legge n. 190/2014, sul quale si argomentera' amplius sub B.1). Il legislatore sembra tuttavia dimenticare che le province, fino a quando godranno di diretta garanzia costituzionale in quanto enti costitutivi della Repubblica, sono titolari di insopprimibili funzioni fondamentali. Funzioni fondamentali, del resto, che il legislatore statale medesimo ha stabilito debbano continuare ad essere esercitate dalle province (in base al gia' ricordato art. 1, comma 85, della legge n. 56/2014). Ora, non v'e' dubbio che in tanto le province possono continuare a svolgere le funzioni fondamentali loro spettanti in quanto dispongano, in concreto, delle risorse necessarie a finanziarle. Il che difficilmente avverra', se si tengono presenti i gravosi effetti economici del contributo forzoso di cui all'art. 1, commi 418, 419 e 451, gia' descritti. La misura del contributo imposto e', oltre che palesemente irragionevole, anche contraddittoria rispetto al percorso di riforma degli enti locali tracciato dal legislatore nazionale con la legge n. 56/2014. Legislatore che con una mano conferma la titolarita' di funzioni fondamentali in capo a province e citta' metropolitane, e con l'altra le priva delle risorse necessarie a finanziarle. I commi 418, 419 e 451 dell'art. 1 della legge n. 190/2014 sono pertanto incostituzionali anche per violazione dell'art. 3 Cost. sotto il profilo dell'irragionevolezza e della contraddittorieta' manifesta rispetto alla ratio che ispira l'art. 1, commi 85 e ss. della legge n. 56/2014. L'intervento statale sulle risorse degli enti di area vasta non e' conforme, dunque, ai canoni di ragionevolezza e proporzionalita' richiesti, in questo ambito, dalla giurisprudenza costituzionale (oltre alle gia' citate Corte cost., 11 febbraio 2014, n. 22, punto 4.2.2 del considerato in diritto, e Corte cost., 24 luglio 2013, n. 236, punto 3.3 del considerato in diritto, si veda anche Corte cost., 17 ottobre 2010, n. 326, punto 8.5 del considerato in diritto). Peraltro, tale irragionevolezza e contraddittorieta' trasmoda anche nella chiara violazione degli artt. 97 e 118 Cost.: l'inadeguatezza delle risorse di cui disporranno province e citta' metropolitane nei prossimi anni, una volta assolto l'onere di pagare il contributo forzoso ad esse imposto dallo Stato, pregiudichera' necessariamente la corretta e regolare erogazione dei servizi pubblici connessi all'esercizio delle funzioni fondamentali di loro spettanza. Compromettendo, in tal modo, il principio di buon andamento ed efficacia della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.), e le competenze amministrative ad esse spettanti in base all'art. 118 Cost., confermate - solo teoricamente? - dall'art. 1, commi 85 e ss. della legge n. 56/2014. A.3. Violazione dell'art. 114 Cost. La lesione dell'autonomia finanziaria e dell'autonomia amministrativa delle province e delle citta' metropolitane sin qui evidenziate sono di tale gravita', peraltro, da comportare una piu' ampia compromissione della dignita' autonoma delle province e delle citta' metropolitane, quali componenti essenziali della Repubblica ex art. 114 Cost. Sembra in effetti assai difficile possano continuare, ad essere considerati davvero autonomi enti che in sostanza divengono una sorta di esattori per conto dello Stato, tenuti a versare nel suo bilancio parte consistente dei tributi propri; ed esposti progressivamente ad un rischio sempre piu' concreto di incapienza (atteso dallo stesso legislatore statale, come risulta dalla lettura dell'art. 1, comma 419, della legge n. 190/2014). Il che mortifica, in ogni caso, la stessa dignita' costituzionale delle comunita' provinciali, anch'esse costituzionalmente garantite dall'art. 114 Cost., e meritevoli di ricevere servizi pubblici adeguati alla loro partecipazione, su base locale, alle pubbliche spese. Si consideri, del resto, che le disposizioni della cui costituzionalita' si dubita non possono essere considerate legittime nemmeno ove si ritengano ispirate all'esigenza di far fronte ad una - ormai perenne - situazione di crisi fiscale dello Stato italiano: «la Costituzione esclude che uno stato di necessita' possa legittimare lo Stato ad esercitare funzioni legislative in modo da sospendere le garanzie costituzionali di autonomia degli enti territoriali» (Corte cost., 7 giugno 2012, n. 148, punto 3 del considerato in diritto). Nel perseguire legittime istanze di risanamento dei conti pubblici il legislatore statale non puo', quindi, comprimere l'autonomia degli enti territoriali oltre una certa misura; misura che, nel caso di specie, e' stata senz'altro superata. A.4. Violazione degli artt. 117 e 118 Cost., nonche' del principio di leale collaborazione. Quanto sin qui considerato non puo' non avere ripercussioni, infine, sulle competenze amministrative e legislative delle regioni (della regione Veneto, nel caso di specie) e, piu' in generale, degli altri enti che compongono il sistema delle autonomie territoriali. Le disposizioni della legge n. 190/2014 impugnate con il presente ricorso si inseriscono senz'altro all'interno «di una riforma complessiva di una parte del sistema delle autonomie locali, destinata a ripercuotersi sull'intero assetto degli enti esponenziali delle comunita' territoriali, riconosciuti e garantiti dalla Costituzione» (Corte cost., 19 luglio 2013, n. 220, punto 11.3 del considerato in diritto). La sopravvenuta inadeguatezza del sistema di finanziamento provinciale ed ogni eventuale disservizio nell'erogazione delle prestazioni e dei servizi provinciali si tradurra', inevitabilmente, in altrettante disfunzioni finanziarie ed amministrative dei comuni o della regione. Molteplici sono, infatti, le connessioni tra servizi pubblici provinciali e servizi pubblici comunali e regionali. Ne' si puo' ignorare che, in attuazione della riforma del sistema degli enti locali delineata della legge n. 56/2014, alla regione ed ai comuni dovrebbero essere attribuite in tutto od in parte (con legge regionale), le funzioni non fondamentali di attuale spettanza delle province, con ogni conseguenza sul piano finanziario: nel distribuire le competenze provinciali vanno «considerate le risorse finanziarie, gia' spettanti alle province ai sensi dell'articolo 119 della Costituzione, che devono essere trasferite agli enti subentranti per l'esercizio delle funzioni loro attribuite, dedotte quelle necessarie alle funzioni fondamentali» (cosi' l'art. 1, comma 92, della legge n. 56/2014; analogamente dispongono il punto 15, lett. e), dell'Accordo raggiunto nella Conferenza unificata dell'11 settembre 2014, e l'art. 1, comma 1, lett. b) del d.P.C.M. 26 settembre 2014). Le funzioni amministrative provinciali non fondamentali, che dovranno essere trasferite alla regione od ai comuni, continueranno quindi ad essere finanziate con le risorse proprie delle province, anch'esse da trasferire agli enti subentranti. Ne consegue che il contributo forzoso imposto dall'art. 1, commi 418, 419 e 451 della legge n. 190/2014, oltre a pregiudicare direttamente le province, pregiudichera' quindi indirettamente anche gli enti subentranti, che difficilmente potranno disporre delle risorse necessarie a finanziare le funzioni non fondamentali loro attribuite. Il contestato contributo forzoso incide gravemente, dunque, anche sulla corretta distribuzione delle funzioni amministrative tra enti di area vasta, regione e comuni, che spetterebbe alla regione disciplinare nell'esercizio della sua competenza legislativa, nel rispetto degli artt. 117 e 118 Cost. (art. 1, comma 89 della legge n. 56/2014: «lo Stato e le regioni, secondo le rispettive competenze, attribuiscono le funzioni provinciali diverse da quelle di cui al comma 85, in attuazione dell'articolo 118 della Costituzione»). In Veneto, le funzioni provinciali non fondamentali sono riconducibili alle seguenti materie (ricadenti nella potesta' legislativa concorrente o residuale della regione): servizi per il lavoro, formazione e istruzione, politiche sociali, turismo, sport, cultura e spettacolo, agriturismo, attivita' produttive. In tutti questi ambiti, la regione vedra' inevitabilmente ed illegittimamente compressa la propria potesta' legislativa, de facto vincolata e limitata dalla scarsita' di risorse finanziarie provinciali imposta dallo Stato, tramite il contributo forzoso de quo. Ne discende, dunque, la violazione degli artt. 117, commi terzo e quarto, e 118 Cost. Nonche', a ben vedere, del principio di leale collaborazione (di cui agli artt. 5 e 120 Cost.): la libera attribuzione delle funzioni provinciali non fondamentali nell'esercizio dei rispettivi ambiti di competenza legislativa, ribadita e concordata tra Stato e regioni anche in sede di Accordo raggiunto nella Conferenza unificata dell'11 settembre 2014, appare incompatibile con la successiva decisione statale di intervenire in modo cosi' drastico ed unilaterale sulle risorse delle province, con tutte le conseguenze pregiudizievoli per l'intero sistema delle autonomie locali, sin qui evidenziate. B. Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi da 421 a 428 della legge 23 dicembre 2014, n. 190. B.1. Violazione degli artt. 3 e 35 Cost. Rilievi d'incostituzionalita' non dissimili, e forse ancora piu' netti, possono essere mossi ai commi da 421 a 428 dell'art. 1 della legge n. 190/2014, che obbligano province e citta' metropolitane a ridurre la loro dotazione organica del 50% e del 30% rispettivamente. Anche questo vero e proprio «taglio lineare» del personale in servizio presso gli enti di area vasta risponde alla logica (gia' evidenziata sub A.2) di ridurre in concreto le loro capacita' amministrative ed organizzative, costringendoli in sostanza a dismettere, con il personale, funzioni e competenze. La riduzione forzosa della dotazione organica disposta dall'art. 1, comma 421 della legge n. 190/2014 e' tuttavia tale - nel quomodo e nel quantum - da contraddire in modo netto ed irreversibile il percorso di riforma del sistema delle autonomie territoriali tracciato dalla legge n. 56/2014, e da ledere irrimediabilmente l'autonomia e la dignita' costituzionale delle province e delle citta' metropolitane. In base a quanto stabilisce l'art. 1, commi 92 e 96 della legge n. 56/2014, il personale delle province e delle citta' metropolitane avrebbe dovuto essere trasferito agli enti subentranti, unitamente alle relative dotazioni strumentali e risorse finanziarie, dopo la (ed in funzione della) riallocazione delle funzioni non fondamentali. Salvo restando, evidentemente, il mantenimento in servizio presso gli enti di area vasta del personale dedicato alle funzioni fondamentali. I commi 421 e ss. dell'art. 1 della legge n. 190/2014, invece, prescindono da qualunque previa determinazione in ordine alle funzioni effettivamente attribuite - ed attribuibili - a province e citta' metropolitane, disponendo una riduzione coattiva del personale in servizio del tutto immotivata ed illogica. E la contraddizione e' tanto piu' evidente se si considera che a piu' riprese, nei commi 421 e ss. della legge n. 190/2014, il legislatore richiama espressamente la legge n. 56/2014, dichiarando persino - comma 421 - di voler tenere conto «delle funzioni attribuite ai predetti enti dalla medesima legge 7 aprile 2014, n. 56». Vero e', invece, che disponendo d'autorita' il taglio lineare del personale prima della riallocazione delle funzioni amministrative provinciali, e senza alcun collegamento ad essa, il legislatore ha agito in modo evidentemente contraddittorio ed irragionevole, in violazione dell'art. 3 Cost.: in pendenza di un processo di riorganizzazione delle autonomie locali, disporre un trasferimento coattivo di personale senza sapere prima quali funzioni continueranno ad essere svolte dall'ente di partenza, e quali saranno attribuite all'ente di arrivo, contrasta con il comune buon senso, prima ancora che con la Costituzione italiana. Come del tutto contrario al comune buon senso e contraddittorio e' che il taglio del personale venga disposto linearmente, senza tenere conto di quale parte del personale delle singole province sia effettivamente destinato a svolgere funzioni fondamentali. L'irragionevolezza diviene manifesta proprio alla luce dei dati concreti, quali risultano dalla ricognizione dei costi del personale degli enti veneti di area vasta (in esecuzione dell'art. 2, comma 2, del d.P.C.M. 26 settembre 2014 e' stata, infatti, eseguita una puntale mappatura delle risorse connesse a tutte le funzioni provinciali, i cui esiti si allegano sub docc. 3 - 9). Qualche esempio puo' essere utile: a) per quanto riguarda la provincia di Padova, il costo complessivo lordo annuo del personale (comprese le figure dirigenziali) e' pari a quasi 18 milioni di euro; il costo complessivo lordo annuo del personale riconducibile alle funzioni fondamentali (dirigenti inclusi) di cui all'art. 1, comma 85, della legge n. 56/2014, e' pari a quasi 14 milioni di euro (doc. 3); in sostanza, oltre il 76% della spesa per il personale della provincia di Padova riguarda le sole funzioni fondamentali; b) in provincia di Verona, il costo complessivo lordo annuo del personale (comprese le figure dirigenziali) ammonta a poco piu' di 19 milioni di euro. Il costo complessivo lordo annuo del personale riconducibile alle funzioni fondamentali (dirigenti inclusi) e' pari a circa 17 milioni di euro (doc. 4); per un totale di quasi l'89% della spesa del personale dedicata alle funzioni fondamentali; c) in provincia di Treviso il costo complessivo lordo annuo del personale (comprese le figure dirigenziali) supera i 24 milioni di euro; il costo complessivo lordo annuo del personale riconducibile alle funzioni fondamentali (dirigenti inclusi) e' pari a quasi 18,5 milioni di euro (doc. 5), che ammonta a piu' del 76% del costo complessivo; d) in provincia di Vicenza il costo complessivo lordo annuo del personale (comprese le figure dirigenziali) e' quasi di 16 milioni di euro; il costo complessivo lordo annuo del personale riconducibile alle funzioni fondamentali (dirigenti inclusi) e' di quasi 14 milioni di euro (doc. 6), pari a circa l'88% del costo complessivo del personale; Tali conteggi (che possono essere similmente effettuati con riferimento alle rimanenti province venete, alla luce dei dati risultanti dagli allegati docc. 7 - 9), consentono di evidenziare che il taglio della dotazione organica disposto dall'art. 1, comma 421 della legge n. 190/2014 comportera' anche la necessita' di collocare in mobilita' personale destinato alle funzioni fondamentali: vanificando, dunque, la stessa ratio dell'art. 1, comma 85, della legge n. 56/2014. Ne' si puo' tacere che, in base all'art. 1, comma 92, della legge n. 56/2014, il processo di riallocazione delle funzioni amministrative provinciali avrebbe dovuto garantire «i rapporti di lavoro a tempo indeterminato in corso, nonche' quelli a tempo determinato in corso fino alla scadenza per essi prevista». L'art. 1, comma 428 della legge n. 190/2014 pacificamente ammette, invece, la possibilita' di mancato riassorbimento di tutto il personale in soprannumero, ove stabilisce che in questa ipotesi «si applicano le disposizioni dell'articolo 33, commi 7 e 8, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165». L'articolo da ultimo richiamato disciplina, si ricordi, il collocamento in disponibilita' del personale pubblico, che puo' durare fino ad un periodo massimo di 24 mesi al termine del quale, in caso di mancata ricollocazione presso altra pubblica amministrazione, il rapporto di lavoro si risolve. Con cio' si determina, oltre, ad un'evidente ulteriore contraddittorieta' intrinseca, anche una chiara violazione dell'art. 35 Cost., che la regione e' in questa sede senz'altro legittimata a far valere, considerate le ricadute che il taglio del personale disposto dal legislatore statale ha sull'intero sistema organizzativo delle autonomie territoriali. B.2. Violazione degli artt. 3, 97 e 118 Cost. Il taglio lineare del personale disposto dall'art. 1, commi 421 e ss. della legge n. 190/2014 viola l'art. 3 Cost., poi, nella misura in cui tratta tutte le province e le citta' metropolitane italiane nello stesso modo, senza considerare che sul territorio nazionale la loro situazione organizzativa e' fortemente differenziata: non solo per quanto il riguarda il numero (ed il costo) del personale addetto alle funzioni provinciali, fondamentali e non (se ne trae conferma gia' esaminando i dati di cui ai docc. 3 - 9), ma anche per cio' che concerne il rapporto tra esigenze amministrative di un dato territorio (popolazione) e numero di dipendenti provinciali (e loro costo). Disporre d'autorita' l'indifferenziato dimezzamento della dotazione organica di tutte le province, senza alcun criterio razionale, provoca l'irragionevole effetto di penalizzare le amministrazioni che hanno gia' ottimizzato la loro struttura organizzativa, e di favorire invece quelle ancora ipertrofiche. Ad essere piu' colpiti dal taglio lineare saranno, infatti, gli enti di area vasta che, in rapporto alle funzioni amministrative svolte, hanno il numero (ed il costo) minore di personale. Come accadra' puntualmente in Veneto, in cui l'applicazione dell'art. 1, commi 421 e ss. della legge n. 190/2014 comportera' anche la necessita' di collocare in mobilita' personale destinato alle funzioni fondamentali; con immediato pregiudizio, dunque, per i servizi essenziali e per il corretto svolgimento delle stesse funzioni fondamentali che sono ancora di spettanza degli enti di area vasta. Il taglio indiscriminato disposto dallo Stato viola quindi anche i piu' basilari principi di buona amministrazione e di corretta distribuzione delle funzioni amministrative, di cui rispettivamente agli artt. 97 e 118 Cost. La pubblica amministrazione ha, in base ai consolidati principi desumibili dall'art. 97 Cost., confermati dall'art. 1 della legge 14 agosto 1990, n. 241, precisi obblighi di efficienza ed efficacia, che rispondono ad una logica fortemente procedimentalizzata dell'attivita' amministrativa: ogni intervento d'autorita' sulla pianta organica degli enti pubblici che prescinda da qualunque previa ed approfondita valutazione su quanto personale (e di quale qualifica) sia effettivamente necessario per portare a compimento in modo efficace ed efficiente l'attivita' amministrativa dell'ente e', pertanto, non solo irragionevole, ma anche contrario al principio del buon andamento. A diverse conclusioni si sarebbe potuti giungere se il legislatore statale si fosse fatto carico di modulare il taglio coattivo del personale sulla base di qualche criterio plausibile (per quanto «standardizzato») di computo delle esigenze organiche degli enti di area vasta, tenendo conto della popolazione residente, delle funzioni loro attribuite e delle conseguenze sul piano procedimentale. Ma cosi' non e'. La costante giurisprudenza di questa Corte ha qualificato come principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica le norme statali che incidono sulla spesa per il personale (da ultimo Corte cost., 3 dicembre 2014, n. 269, punto 5.1 del considerato in diritto). Cio' non legittima, tuttavia, il legislatore statale ad intervenire in questo ambito senza alcun criterio: tant'e' che le ipotesi con cui la giurisprudenza costituzionale si e' piu' spesso confrontata riguardano limiti alla spesa per il personale non formulati in termini assoluti, ma in connessione alla spesa corrente (cosi', ad esempio, il limite a nuove assunzioni di cui all'art. 76, comma 7, del d.l. 25 giugno 2008, n. 112; convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, sul quale si vedano, ad esempio, Corte cost., 6 dicembre 2013, n. 289, e Corte cost., 7 giugno 2012, n. 148, punto 5.1 del considerato in diritto). Le disfunzioni e disomogeneita' organizzative cui condurra' il dimezzamento della dotazione organica di tutte le province finira' per riflettersi, d'altra parte, sulla corretta distribuzione delle funzioni amministrative tra gli altri enti (comuni e regione) che compongono il sistema delle autonomie locali: come facilmente ipotizzabile, gli eventuali disservizi nelle funzioni amministrative provinciali rischieranno di tradursi in altrettanti disservizi nelle funzioni amministrative regionali e comunali connesse. Inoltre, si deve ricordare che spetterebbe alla regione, nell'esercizio della sua potesta' legislativa, attribuire «le funzioni provinciali diverse da quelle di cui al comma 85, in attuazione dell'articolo 118 della Costituzione», individuando l'«ambito territoriale ottimale di esercizio per ciascuna funzione» (art. 1, comma 89, della legge n. 56/2014). La riduzione coattiva del personale e' tale da impedire, invece, qualunque ragionata distribuzione delle funzioni amministrative non fondamentali: dato che le province non potranno disporre del personale necessario a svolgerle, la regione si vedra' costretta ad attribuire a se' medesima ed ai comuni anche le funzioni non fondamentali che invece potrebbero meritare, alla luce dei principi di sussidiarieta' e adeguatezza, di essere conservate in capo alle province. Da cio' la chiara lesione anche dell'art. 118 Cost., primo comma (oltre che dell'art. 117 Cost., come si avra' modo di rilevare sub B.4). B.3. Violazione dell'art. 114 Cost. La riduzione coattiva ed indiscriminata della dotazione organica degli enti di area vasta determina, analogamente a quanto gia' considerato (sub A.3) con riferimento al contributo forzoso imposto dall'art. 1, comma 418, della legge n. 190/2014, una piu' ampia compromissione della dignita' autonoma delle province e delle citta' metropolitane, quali componenti essenziali della Repubblica ex art. 114 Cost. Come puo' essere considerato davvero autonomo un ente la cui dotazione organica viene definita aliunde, ed in base a criteri che prescindono completamente da una previa valutazione sull'efficienza ed efficacia della sua azione amministrativa? Province e citta' metropolitane non sono articolazioni periferiche dell'amministrazione statale, e la dotazione organica costituisce senz'altro uno dei profili piu' significativi e caratterizzanti della loro struttura organizzativa. L'intervento statale d'autorita' sulla dotazione organica degli enti di area vasta lede dunque, per la misura che lo contraddistingue e per i modi con cui e' stato disposto, la loro dignita' costituzionale, in violazione dell'art. 114 Cost. Ne' si possono tacere le conseguenze per le collettivita' locali amministrate dagli enti di area vasta, anch'esse tutelate dall'art. 114 Cost., ed anch'esse pregiudicate da una decisione dello Stato centrale che - per quanto sin qui evidenziato - avra' un inevitabile impatto negativo sull'erogazione dei servizi pubblici e sulle funzioni fondamentali che province e citta' metropolitane dovranno continuare a svolgere. Il chiaro intento perseguito dal legislatore nazionale, anche con i commi 421-428 dell'art. 1 della legge n. 190 (ridimensionare oltremodo le province, in attesa della loro eliminazione dall'ordinamento giuridico italiano), non giustifica un intervento legislativo di tal fatta, alla luce della vigente Costituzione: la revisione costituzionale continua ad essere condizione necessaria di ogni eventuale, ulteriore «depotenziamento» delle province. B.4. Violazione dell'art. 117 Cost., commi 3 e 4, nonche' del principio di leale collaborazione. Anche i commi da 421 a 428 dell'art. 1 della legge n. 190/2014 meritano, infine, censura sotto il profilo della violazione delle competenze legislative della regione. Si e' gia' ricordato come in base all'art. 1, comma 89 della legge n. 56/2014, le funzioni non fondamentali delle province e delle citta' metropolitane debbano essere riallocate dallo Stato e dalle regioni nei limiti delle rispettive competenze legislative, previo accordo in Conferenza unificata. In virtu' dell'accordo raggiunto nella Conferenza unificata dell'11 settembre 2014, lo Stato si e' riservato il riordino delle funzioni amministrative non fondamentali in tema di tutela delle minoranze (punto 9, lett. b) dell'Accordo), riconoscendo alle regioni la competenza a provvedere per tutte le altre funzioni non fondamentali attualmente esercitate dalle province. La regione Veneto potrebbe - e dovrebbe -, dunque, disporre delle funzioni amministrative provinciali non fondamentali, riconducibili alle materie di propria competenza legislativa (servizi per il lavoro, formazione e istruzione, politiche sociali, turismo, sport, cultura e spettacolo, agriturismo, attivita' produttive). In tutti questi ambiti, appartenenti alla sua competenza legislativa concorrente o residuale, spetta alla regione Veneto decidere se le connesse funzioni amministrative siano da confermare in capo alle province, oppure debbano essere attribuite ai comuni od alla regione medesima. A tale decisione dovrebbero seguire, conformemente all'art. 1, commi 92 e 96 della legge n. 56/2014, tutti i necessari trasferimenti di personale, dotazioni strumentali e risorse. Nulla di tutto cio' potra' davvero avvenire, a causa del taglio lineare delle dotazioni organiche disposto dall'art. 1, comma 421, della legge n. 190/201. Gli enti di area vasta (e le province in particolare) non avranno a disposizione neppure personale sufficiente a svolgere in modo efficace ed effettivo le funzioni fondamentali; riesce difficile comprendere, dunque, con quali risorse umane dovrebbero svolgere anche le ulteriori funzioni non fondamentali, teoricamente loro attribuibili dalla regione. Il pieno esercizio del potere legislativo regionale e' dunque sostanzialmente vanificato ex ante, o comunque gravemente limitato e pregiudicato. La decisione dello Stato di dimezzare il personale degli enti di area vasta prima della - ed a prescindere dalla - riallocazione delle funzioni amministrative comporta, percio', la violazione di tutte le relative competenze legislative regionali, in violazione dell'art. 117 Cost., commi terzo e quarto. Evidente e', poi, anche la violazione del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost., dato che il percorso di riforma del sistema delle autonomie locali era stato ben diversamente delineato dall'art. 1, commi 91 e 92, della legge n. 56/2014, ed altrettanto diversamente concordato in sede di Conferenza unificata (Accordo dell'11 settembre 2014). Tanto la legge n. 56/2014 quanto l'Accordo appena ricordato confermano che il trasferimento del personale sarebbe dovuto avvenire dopo la (ed in funzione della) riallocazione delle funzioni non fondamentali, ed entrambi riconoscevano la piena legittimazione delle regioni a legiferare liberamente al riguardo, nei limiti delle loro competenze. Tanto premesso la regione Veneto, come sopra rappresentata e difesa, dimette le seguenti,